Il mare per noi
che vivevamo in case di gesso
che si appoggiavano le une alla altre
come vecchi ubriachi per non cadere
erano i fianchi dei monti
che si tingevano di verde
nei mesi di aprile e maggio.
Prima e dopo
il giallo assillante
di sabbia di deserto
e delle stoppie riarse.
Per noi che vivevamo
chiusi come in una riserva
dai monti che circondavano il paese
il mare era un colore
ed un racconto che si scopriva
quando si incominciava a sillabare
nei vecchi libri di lettura.
Non era facile capire però
quanto era grande
e quanta acqua conteneva
cento-mille volte forse
la vasca della Fontana
da cui si attingeva acqua
e torcicollo le donne
che altere e quasi regali
le brocche le portavano sulla testa
difese solo da una "spera"
di vecchio scampolo di stoffa.
Attaccati alle gonne
occhi affamati e nasi gocciolanti.
Poi arrivavano i poveri
che si dicevano diventati ricchi
all'altro capo del mondo
che raccontavano
che l'America era così lontana
che occorreva navigare trenta giorni
e forse più circondati sempre
da acque torbide smosse da venti
con onde alte come palazzi
che in quel paese li facevano alti
fino a "grattare "il cielo.
Noi bambini ascoltavamo
la bocca aperta
come quando attorno al braciere
i vecchi
raccontavano le storie di Orlando
eroe innamorato della bella Angelica
che si fece scoppiare il fegato
a soffiare inutilmente nel corno
per cercare l'aiuto che non venne
senza capire ma rapiti
dal suono nenia delle prole
che conciliavano il sonno.
Poesia tratta dalla raccolta "L'erba maligna"
Edizioni Lampi di stampa Milano
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