“Sotto il cielo di Cataripò” è il titolo di una raccolta di racconti del poeta siciliano
Calogero Restivo, pubblicato nel febbraio 2016 dall’Associazione AKKUARIA Catania
nella sezione “Europa la strada della scrittura” diretta da Vera Ambra.
Il mondo dell’immaginario si arricchisce di un nuovo toponimo “Cataripò” che
richiama altri come “Fontamara” di Ignazio Silone e “Roccacannuccia” più popolare,
“Rio Bo” di Aldo Palazzeschi.
Cataripò evoca e rinvia al mondo lontano dell’infanzia e
dell’adolescenza gioiosa e ansiosa di futuro; d’altronde è in assonanza con Cicicocò.
E’ un paese da nulla Cataripò, dove non succede mai nulla di straordinario che
possa influenzare e cambiare il corso della storia deciso nelle metropoli. E’
comunque un paese dove accadono tanti fatti e fatterelli veri e immaginari che
danno origine a storie e storielle di vita quotidiana intessute di follie, nevrosi, ansie ,
suspence, supposizioni e maldicenze. Cataripò è la mitizzazione e trasfigurazione di
Racalmuto,il paese natale dell’autore, che nel corso del novecento dopo la chiusura
delle zolfatare e delle miniere di sale è scivolata nel nulla dal punto di vista sociale
economico demografico e culturale.
Il dott. Lillo Taverna nella prefazione la
definisce un paese di immobili collabenti.
Seduti noi lettori in un cerchio magico in un luogo qualsiasi, il poeta narratore
Restivo ci racconta le tante storie con la sua voce scritta fluente affabile venata di un
filo di malinconia che scaturisce dalla riflessione sul senso della vita. Come un antico
vate, ci conduce nel suo mondo primigenio con passo lento appoggiato al braccio di
un ragazzo, e ci indica le colline e i monti disposti a ferro di cavallo intorno a
Cataripò e ci parla dell’ansia spasmodica dei giovani di evadere oltre l’orizzonte e
della rassegnazione dei vecchi. Il centro “culturale” di Cataripò è il salone del
barbiere Carmelo che sostituisce la piazzetta; è un luogo di socializzazione, di
incontro di discussione franca e libera; è il centro di interpetrazione di fatti veri o
presunti sulla base di segni e impressioni e di diffusione.
Ad esso è contrapposto il
“casino dei nobili” o circolo dei galantuomini, frequentato da ricchi demodè da
professionisti e parvenu, definiti con sprezzo grandi deretani, che si attardano a
parlare di avventure vere o presunte ma soprattutto di corna. E’ chiamato circolo
della cultura “ma se la cultura per caso passa ,va oltre o cambia marciapiede”.
La scrittura molto scorrevole a tratti tende ad assumere movenze poetiche con le
tante figure retoriche che danno una vitalità una verve particolare ai personaggi. Il
linguaggio è molto levigato, non risente l’influenza della lingua siciliana; solo alcuni
lemmi come bamminu, occhi di vò, sciarre e sciarrare, chiummo e qualche detto o
proverbio dialettale, termini che a parere dell’autore sono più pregnanti di senso e
di emozioni. E’ una lettura piacevole che ti prende e ti conduce fino in fondo. Sono
racconti vividi palpitanti che fanno sorridere e fanno riflettere sul senso segreto
delle vita e delle sue molteplici sfumature.
I racconti sono ventinove, sono storie di vita quotidiana segnata dal vuoto dalla noia,
dai pettegolezzi ,dai si dice; sono storie di ordinaria follia, di ansie, di sogni di
ricchezze svanite tra le fiamme: alcuni autobiografici, altri sono delle analisi
psicologiche e creazioni di miti, altri ancora di tipo socio ambientale, qualcuno
assume le tinte di giallo; parlano di follie ,frustrazioni, ansie e aspettative, di amori e
pseudo amori; sono un caleidoscopio degli umori che percorrono una piccola
comunità.
Questi racconti assumono una valenza “universale” perché narrano storie che si
vivono in tutte le periferie del mondo. Esse risvegliano nella mente del lettore altre
storie simili ascoltate o già vissute. ”Il fratello di mio nonno ”e il materasso pieno di
soldi ,che viene bruciato, fa ricordare un fatto simile accaduto a NewJork o “Il
rubino” di Corrado Alvaro.
I protagonisti di queste microstorie di varia umanità sono tanti. Giovanni Cherubino
detto “bomminu” che in realtà è un omone molto forte; la ‘ngiuria o soprannome lo
faceva un po’ sorridere e un po’ arrabbiare. Pasqualino Gagliardo che gagliardo non
era, era un tappo scartato alla leva per insufficienza toracica e anche scansafatiche e
in famiglia si comporta da dittatore per darsi un’aria. L’anonimo uomo del dazio che
preferisce fare fagotto, piuttosto che piegarsi alla volontà del gerarchetto pieno solo
di boria. Giuseppe Cozzuto “occhi di vò”,il ragioniere Filippo Lomia, sfortunato fin
dalla nascita ; il contadino Giovanni Prestipani derubato dal ras-etto locale Carmine,
miracolato e liberato dal desiderio di “a cu ti leva lu pani,levaci la vita”; Lorenzo
Bonpensieri prossima alla dipartita che ancora sfuggiva al medico Cantalanotte ma
non al prete don Salvatore per un patto; Orazio di Giuseppe, cavaliere del lavoro
dopo il viaggio a Roma della sua avvenente consorte. E altri personaggi che il lettore
conoscerà leggendo i testi.
Questi racconti sono un viaggio nella memoria. I ricordi, che danno vita a questi
racconti, sono “come dischi di un juke box pescati di tanto in tanto per riempire
giornate vuote o riaffiorano nella mente ed entrano in scena come attori e piano
piano animano la scena”(1); il narratore poeta li definisce ritratti e non fotografie di luoghi e persone a volte solo nomi senza volti a volte volti senza nomi. Sono
immagini dai contorni e dai nomi incerti; sono ritratti di vissuti e di emozioni che
hanno lasciato tracce e segni indelebili nell’animo. I personaggi sono tratteggiati con
delle pennellate, di essi vengono messi in risalto aspetti del carattere o della
persona fisica.
I racconti sono tutti significativi, arricchiscono la sensibilità dei lettori, ma alcuni
sono da segnalare per lo spessore, per la pregnanza di senso, per la loro originalità.
”Il venditore di poesia” assume la valenza di una leggenda metropolitana.
L’originalità sta nel fatto che all’incrocio senza semaforo c’è un “ragazzo”
mingherlino dai capelli rossi e gli occhi celesti che non chiede di lavare i vetri come
al solito, ma propone agli automobilisti l’acquisto di una poesia ciclostilata di giorno
in giorno sempre diversa. E’ un poeta autodidatta che le scrive la sera” quando si
ritira”. Alla voce narrante e interrogante risponde:” Scrivo, correggo, leggo tanto e
di tutto. La poesia ha bisogno di ispirazione ma anche di argomenti.” E’ un
personaggio serio orgoglioso con tanta dignità di sé. In questo racconto c’è l’eco
della lirica “Basta un foglio di carta” di Poesie di volti e memorie”.
“La partenza” e “Il Sogno e la Visione” sono due racconti molto interessanti di
natura psicoanalitica. Nel primo l’autore indossa le vesti di un psicologo e
scandaglia lo stato d’animo in cui ci si trova immerso il personaggio anonimo in
giornata agostana di canicola e di afa che lo precipitano in profondo disagio psichico
e gli fanno perdere la capacità di ragionare e decidere qualcosa. L’indecisione di
partire o non partire di andare in posto o in un altro di quali indumenti portare o
non portare, che alla fine fa stramazzare con un tonfo sul letto nella semioscurità il
protagonista, è materializzata in maniera magistrale.
“Il sogno e la Visione” ha un respiro molto più ampio; assume la valenza di un mito
con la loro personificazione. E’ un tentativo di riflessione sulla condizione umana
rappresentata da un viaggio immaginario nella riarsa campagna siciliana tinta di
giallo, afosa assetata e calda “come la bocca del forno acceso pronta per l’infornata”
e in più senza indicazioni stradali come lo sono le trazzere bianche e polverose; ed
esplicitata dal dialogo tra la Visione e il Sogno che assumono le fattezze umane di
due viandanti che si soffermano all’ombra di un solitario albero. La novità è che la
visione e il sogno, due “solchi dell’animo umano” così visibili e tanto immateriali e
soggettivi, si incarnano in esseri umani che suscitano illusioni e amare delusioni
come tanti altri umani con le bandiere sventolanti. In particolare la Visione ha un
fisico di ragazzo e una testa di uomo adulto, una raffigurazione ricca di significati .La
chiusa del racconto:”….né tu né io riusciamo a cambiare la realtà. Siamo la zolletta
di zucchero nel caffè che senza di quella il caffè resta con il suo aroma e il suo
amaro. Lo zucchero lo rende bevibile..” Già nella breve lirica “Vita” di “Poesie di volti
e memorie” il Restivo verseggiava “ La vita non è sogno, ma senza i sogni non
sarebbe vita”.
”Il monaco ”,”Il successo” e “Una piccola rivoluzione” sono tre storie d’amore
pariticolari. Pasquale Scimmeca, u monacu, è vittima dell’opinione pubblica bigotta
retrograda e ultraconformista. Viene plagiato e indotto a sposare una ragazza
“perduta” pietra di scandalo per la comunità. Alla fine si ritrova più emarginato di
prima senza donna e senza lavoro cosa molto più grave. Giovanni Cherubino ,alias u
bamminu, protagonista di “Successo” è la preda di una donna donatrice d’amore per
il tempo che occorre per spogliarlo delle sue poche sostanze. Infine il vigile Agnello,
innamorandosi di Stella una giostraia alta e bionda, provoca una rivoluzione morale ;
mette in subbuglio la madre la famiglia le autorità e tutta la comunità che fanno di
tutto per farlo recedere da tale “infrazione” mortale. Ma la vince, non cade nella
trappola del conformismo atavico.
” Tutta colpa del vento” e “Per grazia ricevuta” sono racconti tinti di giallo senza
soluzioni. Del primo è protagonista Alessio Bonafè, alto funzionario in pensione, che
,dopo essere stato in gira per l’Italia e il mondo, stanco e desideroso di vivere in
santa pace e al anche al sicuro, decide di ritornare a vivere nel paese natale in una
villa di campagna. Inseguito da ombre del passato, in una notte di vento miscelato a
rumori sospettosi si ritrova in fondo al pozzo ben chiuso. Il caso non trova soluzione
e nemmeno il cadavere per negligenza e udito poco fine degli investigatori.
Del secondo “Per grazia ricevuta” è Giovanni Pristipani , un povero cristo ridotto in
miseria dal furto perpetrato a suo danno dal gerarchetto Carmine nullafacente
dall’aria di padreterno e dalla guerra. Giovanni rimuginava dentro di sé di vendicarsi;
venuto a conoscenza che era stato fatto fuori, si reca in pellegrinaggio camminando
in ginocchio fino all’altare della Madonna del Canale per la grazia ricevuta.
” La panchina” è un racconto di ordinaria follia silenziosa che si conclude con la
scomparsa del protagonista nel nulla di una galleria abbandonata. Il ragioniere
Filippo Lomia è sfortunato si dalla nascita; si doveva chiamare Lumia e ciò lo rende
diverso dagli altri familiari: ha sorelle e fratelli ma legalmente non li ha e viene
guardato dagli altri con un punto interrogativo, provocandogli un profondo disagio
psichico. Il racconto si apre con una gag comica e drammatica allo stesso tempo;
potrebbe essere trasposto in una piéce teatrale. Il Lomia svolge un lavoro noioso
alienante da morire fino all’esaurimento: il suo compito è trascrivere gli atti notarili.
Nella sua monotona e piatta vita quotidiana irrompono due personaggi che ne
cambiano il corso: Monaco Stella una bella ragazza mora dai capelli ricci e gli occhi
sfavillanti di fuoco che gli chiede di sposarla; e “ l’ombra” seduta su una panchina di
fronte all’ufficio. Stella con il suo sorriso e le sue voglie gli dona attimi di gioia;
l’ombra della panchina, un uomo anziano di nome Antonio, è lo specchio dentro cui
si immerge per ritrovare il suo essere più vero e profondo, esternando tutte le sue
frustrazioni.
Infine “Quando tramonta il sole” è un racconto autobiografico, ma non per questo
meno significativo. In esso si possono riconoscere una vasta platea di persone. E’
l’incontro di un anziano acculturato con la rete, in particolare con facebook che
sembra mettere in contatto con il mondo. Sono narrate in modo palpitante l’ansia
l’attesa dei mi piace e dei non mi piace dei buongiorno e delle buonasere degli
amici virtuali , come in gioventù si aspettavano le lettere. Si trascorre sempre più
tempo a smanettare che alla fine si prova un vuoto con tanta amarezza e si avverte
la sensazione di essere prigioniero con gli occhi lucidi e la mente vuota. Si conclude
con un gesto luddista inscatolando il computer e lanciandolo nel fiume Canale e il
ritorno alla socialità famigliare e alla normale vita fatta di passeggiate e di pizze in
compagnia. Con la moglie se ne va al ristorante a festeggiare la “liberazione” dal
mondo virtuale.
La lettura di queste storie fa cogliere gli stati d’animo che si vivono nelle comunità di
periferie proiettate tra passato lontano e modernità del presente e aiuta a riscoprire
se stessi e i propri vissuti.
Matteo Troiano
Nota: demodè indossano vestiti fuori moda perché li avevano ricevuti in dote che quanto più si era ricchi
più era consistente. Si diceva dote di 5 10 15 25, cioè si ricevevano 25 capi per ogni elemento
dell’abbigliamento
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